Mafia, messaggi dal carcere al boss, cinque arresti

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di Alfio Musarra

 

Sono in tutto cinque, le persone ritenute appartenenti o comunque contigue alla famiglia mafiosa di Sciacca, fermate da Carabinieri e Guardia di finanza, su disposizione della Procura di Palermo. In carcere, tra gli altri, sono finiti il capomafia di Sciacca, Accursio Dimino, detto “Matiseddu”, già condannato per associazione mafiosa, e Antonello Nicosia 48 anni, membro del comitato nazionale dei radicali italiani. Quest’ultimo, insieme a una parlamentare di Leu, di recente passata a Italia Viva, che risulta estranea alla vicenda, di cui si sarebbe detto collaboratore, avrebbe incontrato diversi boss detenuti durante alcune ispezioni all’interno delle carceri siciliane e secondo l’accusa, avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all’esterno messaggi e ordini. Sono ancora in corso decine di perquisizioni su tutto il territorio di Sciacca, nell’agrigentino.

Per i magistrati, Antonello Nicosia, sarebbe “pienamente inserito nell’associazione mafiosa”. Secondo la ricostruzione, chiedeva al clan di intervenire per riscuotere crediti, partecipava a summit con fedelissimi del boss Matteo Messina Denaro. Sono alcune delle accuse rivolte dai pm di Palermo a Nicosia. Secondo quanto accertato dagli investigatori, durante una  conversazioni intercorse tra l’indagato ed il boss Accursio Dimino. L’indagato, in un caso, si sarebbe rivolto ad un esponente mafioso per “richiamare” un proprio debitore, e nel febbraio del 2019 a Porto Empedocle avrebbe incontrato due pregiudicati, tra cui un uomo fidato del boss latitante Matteo Messina Denaro, al quale doveva essere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare.  Secondo i magistrati, Nicosia usando il rapporto di collaborazione con la deputata, riusciva ad entrare in carcere e incontrare diversi boss. Dall’inchiesta emerge il coinvolgimento di Nicosia in un progetto relativo alle carceri che, scrivono gli inquirenti, “interessava direttamente il capomafia latitante”. In cambio Nicosia si aspettava di ricevere “un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che diceva di avere ricevuto dallo stesso ricercato”.

Bisogna cambiare nome a questo aeroporto, perché i nomi Falcone e Borsellino evocano la mafia. Perché dobbiamo sempre ‘arriminare’ la stessa merda?“. A parlare, senza sapere di essere intercettato nella sua auto, è Antonello Nicosia.  “Ma poi sono vittime di che cosa? Di un incidente sul lavoro, no?“, dice ancora Nicosia al suo interlocutore. E scoppia a ridere. “Ma poi quello là (Falcone) non era manco magistrato quando è morto, non esercitava  – dice ancora Nicosia – Perché l’aeroporto non bisogna chiamarlo Luigi Pirandello? O Leonardo Sciascia? E che cazzo, va. O Marco Polo?“, conclude ancora ridendo.

Gli istituti di pena, anche quelli con detenuti sottoposti (non si sa ancora per quanto tempo) al 41 bis, sono diventati alberghi a tre stelle dove entra ed esce di tutto. Dopo la ‘prova provata’ dell’inchiesta della Procura di Palermo che ha fermato cinque persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa e favoreggiamento tanto vale chiudere le carceri e trasferire gli ‘ospiti’ direttamente in albergo”. È il commento del segretario generale del Sindacato polizia penitenziaria Aldo Di Giacomo agli sviluppi dell’inchiesta che ha portato in carcere, tra gli altri, “il capomafia di Sciacca Accursio Dimino e Antonello Nicosia, membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani per anni ‘impegnato’ in battaglie per i diritti dei detenuti”. “È da anni – dice Di Giacomo – che denunciamo, inascoltati, a ministro di Grazia e Giustizia e Dap che consentire ai Garanti per i detenuti, persino quelli nominati dai Comuni, e a troppe persone i contatti con capi mafia e terroristi rappresenta un pericolo perché favorisce le attività criminali sui territori. Accade invece che gli ordini partono dalle celle o attraverso questo genere di visite oppure più comodamente attraverso il telefonino. Non sottovalutiamo che nel giro di un anno nei penitenziari italiani sono stati sequestrati oltre 2.100 telefonini. E sempre in entrata c’è di tutto: dall’aragosta allo champagne“.

A me non piaceva come operava quando io ero segretario dei Radicali Italiani e lui era iscritto al movimento. Poi i rapporti si sono interrotti quando lui è entrato nel comitato nazionale dei Radicali Italiani ed io nel Partito Radicale“. Lo afferma all’Adnkronos Rita Bernardini, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale in merito all’arresto di Antonello Nicosia,  “Mi sembrava più un esaltato – aggiunge Bernardini – non mi piaceva e avevamo avuto delle divergenza proprio su come devono essere effettuate le visite in carcere“.

Fonte: CataniaOggi

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